Decadentismo (1974)

Voce per L’Enciclopedia Universale UNEDI, vol. IV, Milano, 1974.

DECADENTISMO

Se già fin dal 1857 Baudelaire aveva parlato, a proposito della poesia di Poe, di “littérature de décadence”, è nel decennio 1880-1890 che, nella letteratura francese – punta avanzata del movimento letterario europeo – il termine decadente viene adoperato significativamente per la prima volta come designazione di condanna moralistico-patologico-estetica, da parte di scrittori tradizionalisti, nei confronti di un nuovo tipo di letteratura allora piú chiaramente manifestantesi, e, viceversa, come insegna di sfida orgogliosa e di positiva autodesignazione da parte di quegli stessi scrittori condannati dai “passatisti” e fieri di rappresentare una “decadenza-avanguardia” collegata con una poetica che si oppone sia al classicismo tradizionale e accademico, sia al romanticismo patetico ed eloquente, in nome dell’arte, libera da ogni remora moralistica e artisticamente normativa, affidata anzi alla libertà e addirittura alla “sregolatezza” dei sensi, e a quella tendenza musicale della poesia che identificava in Wagner il massimo esempio rinnovatore della nuova musica e del nuovo accordo parola-musica.

Cosí in questo periodo Paul Verlaine pubblicava nel 1882 il suo celebre manifesto di poesia musicale, l’Art poétique (“de la musique avant toute chose”), esaltava in un suo notissimo verso l’orgogliosa coscienza e volontà di appartenere alla “décadence” (“Je suis l’Empire à la fin de la décadence”) e (nel 1884) raccoglieva testi poetici di Rimbaud, Mallarmé, Corbière sotto il titolo significativo di Les poètes maudits, munendoli di un commento in chiave “decadente”, mentre Huysmans pubblicava, nel 1885, il suo fondamentale romanzo, À rebours, imperniato sul personaggio di Des Esseintes, presto assurto a concreto rappresentante delle esigenze etiche e artistiche del nuovo clima decadente, appoggiato da varie riviste come quella che si intitolava senz’altro Le décadent.

Ma, al di là di questa fase precisa in cui si iniziavano l’uso e la pratica della nozione e del termine di decadente, il “decadentismo” è diventato molto piú tardi – a opera specialmente della critica e storiografia letteraria italiana – una piú larga e variamente precisa nozione distintiva di poetica e la designazione di una periodizzazione della storia letteraria e artistica comprensibile fra i decenni terminali dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, tra fin de siècle, belle époque e inizi della civiltà contemporanea: con maggior precisione – pur essa stessa discussa – quanto ai suoi inizi, e maggiore sfumatura quanto alla sua conclusione entro il primo Novecento.

Dovrà qui perciò ricordarsi il lungo dibattito che (dopo le prime avvisaglie già alla fine dell’Ottocento) prese corpo nel Novecento partendo dall’interpretazione negativa e polemica che del “decadentismo” e di tutta la letteratura contemporanea dette il Croce in nome del suo classicismo romantico e dei suoi ideali di sanità etico-artistica imperniati sulla figura, essa stessa crocianamente impostata, del Carducci, ultimo poeta classico e “sano”. Dall’interpretazione crociana e dei crociani ortodossi – ma spesso muovendo dal seno stesso di un crocianesimo piú inquieto e aperto – si vennero discostando varie tendenze che, mentre negavano crocianamente la letteratura “decadente”, ne subivano l’attrazione e ne delineavano comunque caratteri e sviluppo (il caso del Flora con il suo Dal romanticismo al futurismo del 1921, e poi con i suoi scritti posteriori dedicati al Decadentismo) o che (il caso del Praz con il suo libro La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, del 1930), esplorando i segni della lussuria, della perversione, del fasto musicale e verbale in tutta la vasta zona europea dall’Ottocento al primo Novecento, contribuivano (anche se con una eccessiva linea di continuità fra romanticismo e vero e proprio decadentismo) a rilevare molti aspetti dell’arte decadente e a collegare fenomeni italiani e fenomeni stranieri, mentre un crociano fortemente eterodosso, Luigi Russo, nella sua introduzione ai Narratori, del ’23, poneva il problema di una corrispondenza fra decadentismo ed europeismo e quindi riscattava il valore di “sprovincializzazione” della nostra letteratura da parte del decadentismo e apriva la strada all’esigenza di una necessaria storicizzazione del fenomeno decadente.

A tale esigenza rispondeva, da una posizione ormai non crociana, il mio libro del 1936, La poetica del decadentismo italiano. In quel libro il “decadentismo” veniva definitivamente sottratto alle squalifiche moralistiche e patologiche e a un uso astorico e categoriale “perenne”, veniva fatto coincidere con un periodo preciso della storia letteraria e artistica europea e italiana, distinto dalla semplice decadenza romantica e, piú, dalla continuità indiscriminata di romanticismo e decadentismo, mentre – individuatane la poetica piú generale e le poetiche particolari – se ne precisava la natura europea e quindi, nei confronti della nostra storia letteraria e artistica, il valore di sprovincializzazione, di apertura ai piú vasti orizzonti europei, di rinnovamento antitradizionale e antinaturalistico, e si individuava nel suo fondo il suo significato di manifestazione di una crisi nazionale ed europea comunque essenziale (pur con i suoi rischi e veleni) nella complessa e critica formazione della civiltà contemporanea (basti pensare al sottolineato valore di scavo nella zona del “subconscio” su cui tanto veniva operando l’arte degli scrittori decadenti mentre – a livello scientifico – il grande Freud ne stabiliva la inoppugnabile forza nell’uomo e specialmente nell’uomo moderno). E proprio sul punto essenziale del carattere del decadentismo come espressione di un’epoca di crisi si verrà svolgendo (seppur con rischi di ricaduta nell’accezione di “decadenza” rispetto alla linea ritenuta solo “progressiva” del realismo) il successivo e tuttora aperto dibattito sul decadentismo (specie nelle sue particolari condizioni italiane) contraddistinto dall’approfondimento di temi già posti nel libro ricordato fra cui soprattutto il tema dell’ancoramento del “decadentismo” alla particolare crisi storico-politico-sociale italiana dell’età umbertina e giolittiana e ai diversi livelli dei suoi miti conservatori, reazionari e addirittura prefascisti, e della sua coscienza della stessa crisi (il libro del Salinari, Miti e coscienza del decadentismo italiano, del 1960, e i contributi del De Castris sul decadentismo e su Svevo e Pirandello). Il dibattito, come dicevo, è aperto, ma par difficile un ritorno o all’accezione interamente negativa e non storico-dialettica del decadentismo o a un suo uso astorico o alla tesi della continuità fra romanticismo e civiltà contemporanea, o alla obliterazione del termine, della nozione e del loro uso storico a favore di una totalizzazione simbolistica del periodo tra fine Ottocento e primo Novecento, che pur viene attualmente affacciata.

Ma come si configurano piú precisamente la nozione, la poetica, la storia del decadentismo in zona europea e in zona particolarmente italiana? Per quanto riguarda la zona europea dovrà ribadirsi che negli ultimi decenni dell’Ottocento si apre in Europa una lunga fase di crisi e di trasformazione culturale, spirituale, letteraria che riflette, e complica, una crisi di fondo economico, sociale, politico e corrisponde alle inquietudini e contraddizioni reali della società borghese assillata dall’insorgere delle nuove forze proletarie e presa fra la sua volontà di resistenza e affermazione nelle forme del capitalismo e delle sue manifestazioni nazionalistiche, imperialistiche, belliciste, e la coscienza variamente chiara delle proprie interne difficoltà, della disgregazione della visione ottocentesca della vita con i suoi saldi ordinamenti, con i suoi ideali e la sua moralità.

La filosofia positivistica, con la sua fiducia nella scienza, nella ragione, nel progresso inarrestabile è scossa da una forte ondata di irrazionalismo, di spiritualismo, di nuovo idealismo che mettono in crisi le sue certezze, incrinano la stessa generale idea positivistica e razionalistica dell’uomo, accentuano di questo gli aspetti e gli elementi istintivi, amorali, irrazionali, scoprono sotto la ragione e la coscienza una zona misteriosa e oscura, subconscia e profonda, da cui germinano passioni e tendenze compresse dalla volontà cosciente e razionale, da regole morali che vengono apparendo sempre piú convenzionali, incerte, e addirittura repressive e ipocrite. Mentre nell’arte e nella letteratura, di fronte al naturalismo e al verismo, piú legati alla cultura positivistica, si configura la tendenza del “decadentismo”, che variamente – tra zone piú vistose e superficiali e zone piú interne e decisive – si collega appunto alla crisi già delineata esprimendone miti, tormentata coscienza, aggressione alla vecchia Weltanschauung, sia nell’esasperazione della sfrenata volontà di potenza della classe borghese uscita dal suo cammino piú compatto e sicuro, sia nella corrosione e aggressione degli ideali ottocenteschi di vita, in un intreccio complesso e comunque di tale importanza che è impossibile non assegnare al decadentismo un’eccezionale importanza di collaborazione sovrastrutturale, alla manifestazione della crisi da cui emerge lentamente e tormentosamente la sfaccettata e ardua civiltà contemporanea con il suo profondo urto fra la classe borghese e la nuova classe proletaria (e le loro ideologie), con la sua visione piú critica e sofferta dell’uomo e della sua complessa natura, con la sua nuova dialettica di razionale e irrazionale, con i suoi traumi e le sue componenti sensuali, oniriche, subconscie, che ne rendono sempre piú complicata la realtà umana, tanto meno indagata nel pieno Ottocento.

Certo il decadentismo riprendeva le punte piú acute, ardite e segrete del romanticismo europeo, le sue tendenze irrazionalistiche e mistico-sensuali già profilatesi in pensatori come Schopenhauer e Nietzsche o in artisti e scrittori come Wagner e Poe, fino al grande Baudelaire, con i suoi temi di perversione e di sofferta sensualità, con la sua idea di una poesia che affonda le sue radici nell’universo e nelle recondite e misteriose regioni della sensibilità piú profonda, i cui simboli appaiono legati fra loro da analogie e corrispondenze espresse non dalla filosofia ma dalla poesia, divenuta metodo di superiore conoscenza e rivelazione alogica e musicale.

Ma altrettanto certo è che il pieno e nuovo consolidamento del decadentismo – pur con i suoi precedenti vastamente europei – avviene nella zona francese postbaudelairiana a opera di poeti e scrittori come Verlaine, Rimbaud, Mallarmé.

Per questi poeti (e in varie gradazioni e articolazioni per poeti e scrittori della vasta geografia decadente europea: si pensi agli scrittori inglesi piú particolarmente estetizzanti come Pater, Ruskin, Wilde, Swinburne) la poesia è un nuovo metodo di conoscenza superiore a quello della conoscenza razionale e il poeta è un “veggente”, il rivelatore, con la sua poesia risolta in musica, del regno misterioso che gli uomini comuni non vedono come non lo videro i poeti del passato. Cosí il decadentismo intende contrapporre la propria poetica – fondata sulla sensazione, sulla parola-simbolo e sulla parola-musica, sulla suggestione piú che sull’espressione – a quella dei classici – fondata sulla sicurezza di un accordo fra ragione, sentimento, natura e mirante alla serenità, alla plasticità, all’evidenza e chiarezza – e anche a quella romantica che effondeva i moti e gli affetti dell’animo, ma non ne rilevava gli elementi piú misteriosi e segreti, solo vagamente intravvisti, e rimaneva ancor chiusa nella concezione di una persona umana magari esaltata ed esasperata, ma salda nel proprio intero possesso. La poetica del decadentismo (la cui spinta iniziale e centrale piú forte è la lirica) non mira a narrare e a descrivere, ma a suggerire ed evocare zone dell’animo nascoste e altrimenti inconoscibili, e perciò la sua meta suprema è la poesia-musica, fatta di sensazioni e allusioni sottratte a ogni controllo della ragione, della verosimiglianza, della chiarezza ed evidenza, svincolata da ogni intenzione didascalica e moralistica, liberata nella sua funzione di rivelatrice assoluta dell’aldilà delle cose apparenti. E cosí la stessa costruzione poetica rifiuta il saldo modo di coerenza strutturale della poesia precedente e si articola e snoda nella ricerca di una libertà assoluta, fino all’invenzione del “verso libero”, svincolato dalla rima e dalla strofa prefissata e prestabilita.

Ma un periodo cosí vasto e complesso ha anche notevolissime interne diversità, articolazioni e vari gradi di profondità che oscillano fra le forme piú vistose, appariscenti, spesso compiaciute e piú legate alle componenti dell’estetismo e del musicalismo piú sensuale (anche se capaci di una poesia o di una poeticità pure apprezzabili), e forme piú incisive e complesse di un decadentismo che interpreta tormentosamente la crisi dell’uomo, della società e della storia fino a espressioni artistiche di problemi e condizioni culturali, sociali, esistenziali, che costituiscono una fondamentale premessa alla letteratura contemporanea piú recente: il caso di Pirandello e di Svevo o di Musil, di Mann, di Proust e sin di Joyce e Kafka.

In Italia la formazione di un clima e di una letteratura decadente è piú tarda e difficile rispetto ad altre nazioni e specie alla Francia: il che si spiega soprattutto con la minore presenza nel nostro romanticismo di fermenti di tipo mistico e di una sensibilità piú esasperata di cui qualche elemento può solo ritrovarsi nel Tommaseo o in certe aperture incerte del tardo romanticismo. Solo con la Scapigliatura si può avvertire un vero accento predecadente sia nella stessa figura di scrittori che assumono atteggiamenti di “poeti maledetti”, di bohémiens in rottura con la morale e con il costume tradizionale (rottura spesso sostenuta da vere rivolte e proteste etico-politiche), sia nelle scelte di nuovi temi fra misteriosi e torbidi (non senza chiare riprese della tematica francese del tempo), sia nella ricerca spesso velleitaria, ma non meno significativa, di forme artistiche liberate dal peso della tradizione e adeguate a un gusto nuovo e moderno.

Mentre negli ultimi svolgimenti tardo-romantici dello stesso Carducci risuona pur qualche accento vagamente predecadente anche se ostacolato dalla preminente fedeltà a un tipo di vita e di arte classiche. Dal seno stesso del verismo, del resto, si profilano, alla fine del secolo, elementi di tipo spiritualistico, irrazionalistico, estetizzante che incrinano lo stesso appoggio ideologico del positivismo e corrispondono a quella crisi degli ideali risorgimentali che provoca un confuso clima tra delusione, sfiducia, velleità di nuovi miti nazionalistici e imperialistici, crescente coscienza della difficoltà della storia e del suo “progresso”, evasione nel sogno e nel culto dell’arte piú raffinata e squisita, abbandono alla sensibilità piú libera e soggettiva. Cosí, pur fra tante remore, compromessi, riprese arretrate (si pensi ai casi diversi e graduabili del Graf, dello Gnoli-Orsini, del Thovez, del Lucini), si viene elaborando la nuova letteratura decadente, specie nella versione dell’estetismo (culto aristocratico della bellezza e dell’arte con il loro primato su ogni altro aspetto della vita) fortemente sostenuto dall’attività di alcune riviste: piú modeste e caute come il «Marzocco», piú importanti e decise come il «Convito» di Adolfo De Bosis o come la «Cronaca bizantina».

Ma il culmine del decadentismo-estetismo italiano è raggiunto poi dalla piú vistosa e prepotente personalità decadente italiana: quella di Gabriele D’Annunzio, che nella stessa vita – vita come arte, azione come bel gesto, rottura di ogni limite morale, esaltazione di lussuria, fasto, nazionalismo imperialistico – e, piú nella letteratura, è il portatore maggiore dei nuovi ideali, di temi e tecniche fondati sulla sensazione e sulla musicalità sensuale di cui conquiste massime sono l’Alcyone e poi i piú macerati scritti “notturni” e “segreti”. Mentre l’altro maggiore poeta dell’epoca, il Pascoli, rappresenta la versione piú paesana e intimistica del decadentismo italiano, ben collegata alla sua tipica poetica del “fanciullino” e alla poesia delle “cose”, delle sensazioni piú intime, segnando – al di là di impennate eloquenti, umanitarie e nazionalistiche – nel fondo della sua sensibilità piú vibratile e della sua immaginosità piú sottile una nuova via di anticipo della lirica italiana successiva. Linea su cui può porsi piú facilmente (ma non senza commistioni con il D’Annunzio piú languido e nuove influenze della poesia piú intimistica francese e belga) lo sviluppo del fenomeno del crepuscolarismo (al centro, e piú in alto, Gozzano con la sua maggiore forza personale e con la sua fantasia ironico-realistica), mentre di fronte ai toni sommessi, ma realmente innovatori dei crepuscolari, si dispiega la foga irruente dei futuristi, con la loro volontà programmatica eversiva (i “manifesti” del loro massimo rappresentante, Marinetti, son forse l’opera piú alta del movimento), con la loro ansia di modernità e di avanguardia antiaccademica, antiborghese, antiromantica, e con le loro tecniche di rottura e di assoluta libertà. Novità effettivamente piú concretata in prodotti coerentemente rivoluzionari nelle esperienze europee suscitate dal movimento italiano (si pensi soprattutto al grande Majakowskij) che non in Italia, dove la novità del futurismo rimase ideologicamente sviata nella direzione di miti nazionalistici e bellicisti, che contribuiranno molto alla nascita del fascismo.

Ma il decadentismo italiano rivela le sue ragioni e i suoi livelli piú profondi di espressione di una crisi storica ed esistenziale (con le sue radici in una densa realtà socio-economica e politica) nella narrativa e nel teatro: non certo nella narrativa del Fogazzaro, decadente cattolico e provinciale conservatore, ma nella narrativa di Italo Svevo che attinge nella Coscienza di Zeno l’acme del suo critico-ironico scavo analitico del personaggio decadente, incapace di vivere, cosí come nella narrativa e nel teatro di Pirandello, con il quale la forza piú interna della coscienza decadente si estrinseca in un dramma esistenziale di disgregazione e di incomunicabilità della persona, viva solo nella forma e nella maschera del personaggio, con l’inerente offerta di nuove tecniche, essenziali per tutto il teatro contemporaneo mondiale.

Con le esperienze fondamentali di Svevo e di Pirandello il livello estetizzante del decadentismo italiano è superato dalla forza della coscienza decadente, e al di là di esse e della loro dimensione storica piú dubbio ed equivoco può risultare un uso indiscriminato del termine e della periodizzazione del decadentismo.